Costas Varras
Rockers And Other Animals, created by Valeria Campagnale, is born from the passion for hard rock. After a long experience in this publishing world, for Italy and abroad.
REVIEWS INSANE VOICES LABIRYNTH
Recensione a cura di Claudio Cerutti
Devo essere sincero: solo in un’altra occasione mi era capitato (anche per scelta personale, devo ammetterlo) di ascoltare un intero disco pubblicato da un artista solista che non fosse un cantante e, specificatamente, che fosse un chitarrista. Mi riferisco alla trilogia (con tanto di EP “spin-off”) turilliana parallela alle pubblicazioni dei suoi Rhapsody dei tempi d’oro, tra il 1999 e il 2006. E, se devo ancora essere sincero, il titolo del disco di Costas Varras che mi accingo a recensire, a primo acchito mi ha riportato la mente proprio ai lavori del chitarrista friulano sopracitato, impressioni che, come è ovvio, sono state confermate già al primo ascolto. Mi riferisco naturalmente all’ultima fatica discografica del musicista originario di Atene già noto con il nome di Overlord nei suoi Perpetual: Neon-Classical. Un chiaro gioco di parole, con cui Varras ha cercato di mescolare le ascendenze hollywoodiane dei suoi studi con le ispirazioni neo-classiche che già permeavano in toto i lavori di Turilli, il confronto con il quale balza alla mente immediatamente. Tale mix non è certo una novità: non sono pochi i gruppi o i singoli artisti che hanno tentato di sposare uno stile “baroccheggiante” con sonorità e influenze moderne o futuriste, perciò non dovrebbe stupire il tentativo, seppur ampiamente riuscito, di Varras. Un tentativo chiaro sin dal primo sguardo alla copertina, di dubbio gusto, che ritrae un Costas Varras abbracciare, con sguardo accigliato, una Fender, posto in sovrimpressione rispetto a uno sfondo che ritrae una metropoli notturna (presumibilmente Los Angeles, città in cui il chitarrista greco risiede).
Tornando per un attimo al principio, sono sempre stato restio a dedicarmi all’ascolto di dischi solistici dei chitarristi per timore di annoiarmi, perché ritenevo che fossero solo un modo per l’artista di turno per mettersi in luce, senza raccontare nulla, mostrando semplicemente cosa fosse in grado di fare con la “sei-corde”. Mi prefiguravo già lunghi e virtuosi brani strumentali e, sebbene fossi consapevole che spesso e volentieri la situazione non è quella che ho appena dipinto, continuavo ad essere restio. Anche il disco che sto recensendo mi ha, perciò, fatto stare sul chi vive da questo punto di vista e pensavo che le mie paure sarebbero state confermate, ascoltando per di più il brano di apertura The Swedish King, brano strumentale in cui la chitarra di Varras è accompagnata da una ritmica potente e decisa e da sezioni melodiche con cui si sposa bene per dar vita a bellissime armonizzazioni, le quali sfociano, a metà brano, in quelle influenze baroccheggianti sopracitate. Seppur godibile, questo primo brano lascia il presentimento di un lungo disco di tredici tracce quasi tutte uguali che, vista la chiara impronta che l’autore ha voluto approntare sin dal titolo e dalla copertina, avrebbero rischiato di annoiare l’orecchio di chi scrive.
Ma c’è un ma. Si passa infatti subito a Rise, secondo brano del disco, il cui gusto prende una direzione leggermente diversa. Innanzitutto, si segnala la presenza di una sezione vocale, seppur elementare e poco innovativa (ma d’altronde la vera protagonista di questo lavoro è la chitarra di Varras, per cui la voce svolge un ruolo marginale), a cui si è dedicato il cantante Chity Somapala. In secondo luogo, Rise sembra avvicinarsi in maniera subliminale a sonorità più rock che metal, il che mi rimanda alla lettura della biografia del Varras, dove è scritto chiaramente che sin dalla tenera età di nove anni è un appassionato di hard rock e rock ‘n’ roll, emergendo quindi il fatto che il metal (il power in particolare) sia sopraggiunto successivamente.
Queste saranno per tutto il disco le linee guida: brani strumentali, brevi, incisivi e a loro modo divertenti, alternati ad altri in cui il Varras lascia spazio alla voce in modo che possano risultare godibili anche per chi si destreggi meno tra pezzi, appunto, strumentali. Ne risulta un continuo susseguirsi di sonorità che spaziano tra un hard rock ritmato e un classico power metal, che nella sezione centrale del disco sfocia in una serie di canzoni molto brevi ma particolarmente interessanti. Sono, per esempio, la title track, la cui atmosfera futuristica è resa da batteria sintetizzata e orchestrazioni, o la successiva Kayko, che non presenta una vera e propria sezione ritmica, costituendosi piuttosto di una serie di chitarre armonizzate. Altro brano da segnalare è Paganini On The Subway, un chiaro riferimento al Maestro italiano, inserito però nel caratteristico sfondo di una metropolitana, palcoscenico per i musicisti di strada, uno dei quali viene “immortalato”, nell’immaginario del Varras, nel destreggiarsi tra le sonorità e lo stile di Paganini.
Tra i brani di chiusura, infine, ci si imbatte in Fallen Hero, cui Billy Vass ha prestato la voce e cui il chitarrista greco ha dedicato anche un video musicale. Il pezzo risulta essere emblematico e riassuntivo dell’intero disco: una breve intro di basso lancia la canzone, in cui virtuosismi di chitarra duellano con assoli di tastiere, mentre la voce di Billy Vass resta in secondo piano, così come degli accenni di orchestrazioni.
Dopo aver terminato l’ascolto con una non indimenticabile strumentale, Till We Meet Again, che quasi non si staglia tra le altre del disco, rimanendo piuttosto sulle linee tracciate dai dodici brani precedenti, la conclusione che traggo è la seguente: Costas Varras, oltre ad essere un eccellente chitarrista, si dimostra anche un ottimo compositore, perché riesce a sposare una musica di nicchia, come può essere il metal strumentale o comunque al servizio di una chitarra solista, con un metal invece ad ampio raggio, godibile per chiunque. Il risultato è un disco che non stanca ma che al contempo mette in luce le doti musicali del suo autore, un ascolto divertente, scorrevole, un aspetto agevolato da quella sezione centrale di cui si è parlato poco sopra, fatta di brani brevi ma caratterizzanti e interessanti. Insomma, quello che si può dire infine è questo: Neon-Classical può essere piacevole per i chitarristi, che possono trovare delle ispirazioni, ma anche per chi vuole godersi un buon disco metal.
77/100
