Moonscape

Recensione a cura di Luigi Scopece

REVIEWS INSANE VOICES LABIRYNTH

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3/10/20223 min read

Un moniker affascinante ed un artwork altrettanto attraente: così si presentano agli occhi, prima ancora che alle orecchie, del sottoscritto, i Moonscape, una nuova metal-opera capitanata dal mastermind norvegese Håvard Lunde, proveniente dalla ridente cittadina di Gjøvik, che segue la scia dei sontuosi progetti di Arjen Anthony Lucassen come Ayreon e Star One. L’album in questione è "Entity", di prossima uscita il 2 ottobre 2017 in CD e digitale, che sarà realizzato sia come unica traccia, superiore ai 40 minuti, che come album “tradizionale" composto da 9 brani singoli, per quanto indissolubilmente intrecciati tra loro. L’ascolto in blocco dell’album è senz’altro consigliabile, non essendo la durata complessiva eccessiva: una scelta che porterà facilmente alla mente una versione più variegata e melodica del mitico "Crimson" degli Edge of Sanity di Dan Swanö, realizzato nell’ormai lontano 1996. Tuttavia, ai fini di una recensione, l’ascolto della seconda versione è più indicata, rendendo possibile un’analisi track-by-track del disco. Come detto, i Moonscape costituiscono una nuova metal opera, e come è ovvio Lunde si è circondato di numerosi ottimi musicisti per la sua realizzazione, seppur non si tratti di superstar come nei summenzionati progetti del camaleontico musicista olandese. In particolare, oltre alla perfomance da polistrumentista e vocalist del musicista norvegese, troviamo Jim Brunaud, Matthew Brown e Kent Are Sommerseth alternarsi magistralmente alla voce, Andreas Jonsson, Simen Ådnøy Ellingsen, John Kiernan, Alex Campbell, Noah Watts, Justin Hombach ed il fantomatico Leviathan alle chitarre, Diego Palma e Jon Hunt a pianoforte e tastiere, ed infine Sean Winter al sassofono.

Partiamo ora con l’analisi della musica ivi offerta. "Disconsolation (The Hidden Threat)" apre l’album, donandogli un’aura oscura eppure epica e maestosa. Fin dai primi secondi d’ascolto è possibile notare la grandissima attenzione dedicata in fase di produzione e mixing. Il brano, compatto e godibile, è zeppo di echi dei migliori Dream Theater ed Opeth, senza tuttavia scopiazzare assolutamente nulla, e mostra la grande capacità espressiva degli artisti, in grado di emozionare l’ascoltatore fin da queste prime battute. La perfetta alternanza tra vocals pulite e growling ricorda in particolare passaggi dell’ottimo "Deliverance", proprio degli Opeth, datato 2002. "Entity" prosegue con "A Farewell To Reality", che assalta l’ascoltatore con un aggressivo growl, ma si tratta solo di un breve intermezzo prima di "Into The Ethereal Shadows", dove si viene catapultati in un immaginario completamente opposto: sognanti tastiere, accompagnate da una (indicata) effimera batteria, disegnano un ipotetico paesaggio etereo… ma ben presto l’incedere metallico riprende il suo posto, con un nuovo brano al tempo stesso melodico e violento, dove ancora una volta l’alternanza dei vocalist, e la sezione strumentale nel suo complesso, risultano adeguati e ben integrati; aspetto sorprendente se si pensa che l’album è stato registrato in momenti diversi, individualmente, da artisti geograficamente molto distanti tra loro. Il quarto brano (o la quarta parte che dir si voglia) di "Entity" è "Abandonment". Sembra apparentemente di trovarsi innanzi ad un moderno rock/metal, dotato di un groove da manuale, che in men che non si dica si trasforma in un letale black/death metal sinfonico, di classica scuola scandinava, inaspettato quanto ottimamente proposto. La quiete dopo la tempesta arriva con "Under Absent Clouds", nel bel mezzo dell’album, che con un delicato arpeggio, affiancato da un drum & bass non invadente, cede il passo ad un brano cadenzato, dall’incedere quasi monolitico e ritualistico. La sesta "A Stolen Prayer" è una nuova sorpresa: una intro impalpabile confluisce questa volta in un death metal furente, che, alternato a sprazzi di melodia, costituisce il core di questa lunga suite di 7 minuti. La breve, ma splendida, performance di Sean Winter arriva al settimo squillo, "A Crack In The Clouds". Il sassofono dell’artista canadese ci presenta un ennesimo ottimo brano, che fonde il gothic-doom dei My Dying Bride di metà carriera con un rock edulcorato ed assolutamente catchy. "A Crack In The Clouds" confluisce lentamente in "The Bargaining", penultima del lotto, dove l’elemento prettamente progressive della proposta musicale viene meno, per dar vita ad un brano più immediato, dall’appeal quasi radiofonico, considerando anche la durata concisa. Anche qui, giunti quasi alla fine dell’album, i nostri si dimostrano abili nel fondere rock, metal tradizionale e metal estremo con una naturalezza imbarazzante. Giungiamo quindi alla traccia finale, la titletrack "Entity", che tra una malinconica melodia di pianoforte ed un Matthew Brown ispiratissimo nell’offrire una prestazione da crooner di tutto rispetto, lascia l’amaro in bocca, in quanto avvia alla conclusione un album a dir poco spettacolare.

La capacità del mastermind Håvard Lunde di creare in totale autonomia brani di siffatta caratura è impressionante, e dona ad "Entity" un fascino ancor maggiore, considerando che si tratta di un progetto che, inoltre, è ancora all’esordio. Con un po’ di fortuna, necessaria in un ambiente musicale saturo come quello odierno, i Moonscape potranno balzare facilmente tra i grandi nomi del genere e proseguire su un sentiero già ben tracciato. La proposta musicale, come è facile capire da quanto esposto precedentemente, è inattaccabile da tutti i punti di vista: nessun calo, nessuna ridondanza nel songwriting e una capacità di “incollare" l’ascoltatore allo stereo che ben pochi artisti possono vantare. Per tale ragione, il voto assegnato ad "Entity" non può assolutamente essere inferiore a quello che potete leggere qui in calce.

100/100