Shakma
Recensione a cura di Edoardo Goi
REVIEWS INSANE VOICES LABIRYNTH
Arrivano dalla Norvegia, e più precisamente da Haugesund, questi thrasher votati al lato più grezzo, oscuro e brutale del genere. Formatisi nel 2014 e con all'attivo un demo, Night Of The Coven, datato 2016 arrivano nel 2018 al debutto discografico con questo House of Possesion, su etichetta Duplicate Records. Fin dal primissimo impatto sono evidenti le influenze musicali della band, riscontrabili nei grandi classici del thrash/speed più violento e senza compromessi, soprattutto di scuola europea anni 80, così come da una veloce occhiata a testi e titoli dei brani si evince facilmente l'influenza che un certo filone Horror ha avuto sull'operato del gruppo a livello lirico (e non solo, come avremo modo di scoprire durante l'ascolto). Una veloce intro di stampo horror da il via alle danze di Blood Ritual, un assalto all'arma bianca di puro speed-thrash la cui ferocia è veppiù esasperata dall'impostazione aggressiva e brutale della voce del cantante e chitarrista M. Runic. Tracce di Sabbat (nipponici), Whiplash, ma anche di band seminali come Destruction o primi Kreator si fanno sentire pesantemente nell'approccio compositivo dei nostri, che comunque convincono in virtù di un impatto furibondo e deliziosamente “ignorante”, nonostante all'ascolto si evinca una buona padronanza tecnica da parte dei musicisti, mai sopra le righe ma comunque in grado di dare al brano il giusto tiro, anche quando melodie maligne prendono il sopravvento sull'assalto senza compromessi del pezzo. Sulla stessa falsariga si muove anche la successiva Deadly Spawn, dove assalti furibondi si alternano a fraseggi maggiormente melodici e dal taglio dark, per poi sfociare in un ritornello catchy e facilmente memorizzabile, caratteristiche peculiari per questa band, che ritroveremo anche nelle successive, feroci House Of Possession e Into The Fiery Death (dove fanno capolino alcuni momenti brutali che ricordano, con un malcelato orgoglio, i nostrani, seminali Necrodeath del periodo Into The Macabre, benché con un piglio speed più marcato). È evidente, man mano che i pezzi si susseguono, che le strutture dei brani composti dalla band privilegiano impatto e ferocia all'aspetto dinamico, assestandosi più o meno sullo stesso canovaccio, ma va detto che l'ascolto scorre piacevolmente grazie alla capacità del gruppo di sfornare ottimi riff e non solo porzioni sparate a 200 all'ora prive di costrutto e di incastonarvi melodie semplici ma efficaci. Le cose non cambiano nemmeno nella successiva Knife Of The Prowler, altro brano d'assalto dove, tuttavia, le porzioni melodiche assumono un'importanza maggiore donando al brano un impatto più vario e maggiore dinamismo. Con la successiva Midnight Mass le atmosfere si fanno più sulfuree e i ritmi calano decisamente, assestandosi fra rallentamenti al limite del doom e mid tempo trascinanti e dall'headbanging assicurato. Fraseggi di chitarra inquietanti fanno da contraltare a linee vocali sempre comunque molto aggessive, rimandando alla lezione impartita dai maestri Infernal Majesty con il magistrale None Shall Defy. Un ottimo brano, utilissimo nel dare dinamica allo svolgersi dell'album, oltre che modo per i musicisti (oltre al già citato M. Runic alla voce e chitarra, troviamo A. Runic alla batteria, L. Udjus all'altra chitarra e S. Golden al basso) di dimostrare di sapersi destreggiare anche su tempi medi, oltre che sulle schegge impazzite di cui era disseminato fin qui il dipanarsi di questo lavoro. Si torna a picchiare durissimo (e velocissimo) con la successiva Night Of The Coven, graziata da un riff allo stesso tempo furioso ma non privo di un certo appeal melodico che rimanda vagamente a influenze nwobhm, benché opportunamente brutalizzate dallo stile della band. Il fraseggio melodico centrale, dal gusto deliziosamente horror con tanto di rintocchi di funeree campane arricchisce quello che è senza dubbio uno dei pezzi migliori dell'album, grazie anche al suo ritornello semplice ma efficacissimo, che immagino infiammi ogni esibizione live del gruppo. Molto evocativo l'inizio lento e oscuramente melodico della successiva Ruthless Defiler, prima che siano nuovamente la ferocia e la velocità a riprendere possesso di questo album indiavolato, riversandosi anche nella successiva Spectres Of Death, dall'approccio tanto derivativo quanto brutale e sfrenato, graziata da un fraseggio centrale ancora una volta in odore di nwobhm virata al nero. La conclusiva The Mummy's Curse mette in mostra un approccio slabbrato e “rock-oriented“, prima che ancora una volta la band prema a fondo il pedale dell'acceleratore dando sfogo una volta di più al suo irrefrenabile desiderio di riff veloci, ritornelli catchy da gridare fino a strapparsi le corde vocali e porzioni soliste al fulmicotone, benché non prive di sentori melodici di sicura presa.
Va così a concludersi un album che non fa certo della varietà dinamica il suo punto di forza, votato com'è al totale annichilimento sonoro a base di velocità e furia cieca, ma che non potrà non accontentare gli ascoltatori maggiormente affini a sonorità senza compromessi e dal chiaro approccio old school (elemento questo rafforzato anche da una produzione nitida ma non eccessivamente pulita, molto adatta alla proposta della band). Se siete in cerca di ritmi serratissimi, vocals brutali e atmosfere oscure e feroci, questo disco potrebbe senza dubbio rivelarsi un ascolto piacevole, benché destinato a non cambiare di una virgola la storia del genere (cosa che dubito fosse nelle intenzioni dei suoi stessi creatori). Intenso e divertente.
Edoardo Goi
70/100
