Silent Winter
Recensione a cura di Edoardo Goi
REVIEWS INSANE VOICES LABIRYNTH
Fondati nel lontano 1995 a Volos, città della Grecia centrale, i Silent Winter fecero in tempo a produrre appena due demo (Silent Winter del 1995 e War Of An Angel del 1997) prima di sciogliersi e riformarsi solo nel 2018 con la sostituzione di ben quattro membri, per una line up attuale che comprende, oltre al membro storico Kiriakos Balanos alla chitarra, i nuovi entrati Giorgos Loukakis al basso, John Antonopoulos alla batteria, Achilles A alle tastiere, Themis Karvellis alla chitarra e Mike Livas alla voce, formazione con la quale la band da alle stampe questo ep a titolo The War Is Here. Nella bio acclusa al promo di questo ep la band presenta se stessa (questo ep viene pubblicato in modo indipendente) come dedita al power-progressive metal, ma a conti fatti la componente prog di questo lavoro risulta piuttosto risicata, assestandosi maggiormente su un power metal che ricorda da vicino alcune soluzioni care a band quali Gamma Ray, Helloween o Stratovarius (i grandi classici insomma), con un approccio più votato alla rocciosità che alla velocità e alle fughe di doppia cassa, ma che di rado sfocia davvero in territorio prog, preferendo di tanto in tanto porzioni più vicine all'hard rock più magniloquente e raffinato che richiama non poco l'operato di band quali Elegy o Vanden Plas nei loro momenti più ariosi e meno intricati. Nulla di male in tutto ciò, non fosse che la mancanza di personalità palesata nei brani difficilmente riuscirà a portare la band al di sopra del marasma di formazioni dedite alle stesse sonorità presenti sulla scena, ne tanto meno ad affrancarla dagli altisonanti nomi cui la musica del gruppo palesemente si ispira. Fin dall' iniziale (quasi) title track War Is Here, preceduta da una breve intro orchestrale, infatti, lo spettro degli Straotavarius dell'era Kotipelto, ma soprattutto quello dei Gamma Ray di inizio carriera, si allunga sull'operato della band, benchè la voce di Mike Livas sia impostata su connotati maggiormente aggressivi rispetto a quella dell' “altro” Timo o di Ralph Scheepers (e non ne raggiunga la spiccata persoanlità, pur svolgendo un lavoro comunque apprezzabile e privo di pecchè formali). Il brano scorre piacevole e sufficientemente brioso, adagiato com'è su un up tempo trascinante e roccioso, con linee vocali piacevoli e scorrevoli e uno sviluppo semplice e dalla resa sicura, così come il ritornello, efficace e ben portato. Ciò che manca è il guizzo in più in grado di accendere la miccia e far deflagrare un pezzo che risulta tanto ben realizzato e concepito quanto anonimo e privo delle qualità per poter segnare a fondo ascoltatori avvezzi a queste sonorità, che di brani simili ne hanno già ascoltati molto probabilmente a iosa, e di qualità e personalità certamente di altro livello. Le cose non cambiano di una virgola con la successiva Far Away (brano tratto dal secondo demo e riregistrato per l'occasione), anzi, qui l'impronta Gamma Ray è talmente marcata da rasentare il tributo; Questo, paradossalmente, rende il pezzo più piacevole del brano precedente, proprio in virtù dell'afflato melodico del brano che risulta assai più ficcante, talmente è costruito seguendo il “manuale Kai Hansen”, ritornello compreso. Alla fine dei conti, ci troviamo di fronte a un brano scorrevole che, adagiato sempre su tempi incalzanti ma contenuti, ricorda da vicino pezzi come Heaven Can Wait o Last Before The Storm, sebbene con un'atmosfera epica (soprattutto nel ritornello) che rimanda invece ai Gamma Ray successivi, periodo Land Of The Free. Certo è preoccupante quando quello che è uno dei pezzi più riusciti dell'ep è così tanto derivativo. L'intro di clavicembalo della successiva Sea Of Wonder invece rimanda più alla scuola scandinava del power metal anni 90, quindi Stratovarius, senza dubbio, ma anche primi Sonata Artica e Hammerfall (quelli del primo periodo,e vale per ambedue le band) il tutto corroborato da sensazioni vicine ai già citati Elegy e Vanden Plas per alcune soluzioni melodiche piuttosto riuscite che contribuiscono a dare una certa multidimensionalità al brano, che risulta riuscito, ma lascia l'amaro in bocca per alcune intuizioni che avrebbero potuto essere sviluppate maggiormente, dando al pezzo maggiore profondità e personalità. Ciò comunque non offusca completamente un brano tutto sommato centrato e piacevole,che potrebbe indicare nei suoi momenti migliori la via da seguire in futuro dalla band per cercare una propria “voce” all'interno della sovraffollata scena odierna. A voler trovare legami col prog metal in questo ep, le cose più vicine a questo genere le troviamo nel pezzo successivo, intitolato Eyes Of The World, dal riff portante che non può non rimandare alla mente quello, celeberrimo, di Kiss Of Judas degli Stratovarius, ma in cui l'alternanza di chiaro/scuri giocati su porzioni ora pulite ora elettriche tradisce più di qualche influenza da parte di gruppi quali Queensryche o dei Symphony X di metà carriera, oltre ai già citati Elegy e Vanden Plas (lo stesso utilizzo della voce da parte di Mike, dall'impostazione più aggressiva in determinati momenti del brano, ricorda l'impostazione più cupa del “secondo” Russell Allen, cosa che già si era notata nel pezzo precedente e che potrebbe dare alla band un' ulteriore spunto per rendere la propria proposta più varia e multisfaccettata), per un brano che risulta piuttosto convincente, benchè anche qui non tutto sia portato a un livello in grado di far spiccare la band per qualità o personalità, ma che contiene anch'esso, come il precedente, alcune tracce che la band potrebbe seguire per portare la propria proposta su un piano più competitivo e intrigante. Da dimenticare, a mio avviso, la traccia finale Remember Me, sviluppato come una ballata interamente orchestrale che sembra un collage di Defender,master Of The Wind e The Crown And The Ring, tutte di Manowariana memoria, che però non contiene un'oncia dell'epicità e della forza evocativa di quei pezzi, e risulta semplicemente tronfia e ridondante, pur se curata e realizzata con tutti i crismi. Un pessimo finale. Tirando le somme, ci troviamo di fronte a un lavoro che mette in mostra una band preparata e indubbiamente capace di scrivere brani di senso compiuto, ma che necessita assolutamente di lavorare sulla propria personalità per non rmanere schiacciata dai monumentali nomi cui la sua proposta palesemente si ispira. Le basi per lavorare ci sono, così come l'amore e la passione dimostrate dalla band per queste sonorità, amore che si percepisce in ogni solco di questo The War Is Here, e gli amanti del classico power dei primi anni 90 farebbero comunque bene a tenere d'occhio questo nome e magari dare un'ascoltata a questo lavoro, ma per ora i limiti di personalità palesati sono eccessivi anche solo per arrivare alla sufficienza. Per ora, rimandati.
Edoardo Goi
50/100
